La cura silenziosa dell'infermiere di notte

passi di notte
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Le ombre avvolgono gli alberi, le auto, i passanti diretti chissà dove, anche le piccole case basse tipiche del luogo vengono coperte dal loro velo, è notte.

La luna emana una luce pallida, appare l’unico riferimento per chi abbia il coraggio di alzare gli occhi al cielo.

I miei passi mi hanno portato davanti al cancello d’ingresso, lo passo lasciandolo alle mie spalle.

Si viene diretti alla porta d’ingresso da una piccola salita preceduta a sua volta da un laghetto con delle rane che non si vedono ma le sentirò gracidare durante la notte…

Eccole, il loro canto entra dalle finestre aperte del reparto, lì dove sono ora.

Inizia a far caldo, te ne accorgi dalla divisa che ti si appiccica addosso e dando un rapido colpo d’occhio alle stanze con le lenzuola che coprono solo parzialmente i pazienti intenti a trovare la posizione migliore e se possibile anche Morfeo.

È uno dei turni di notte, come sempre accade dopo le 21.30 il reparto si svuota tutti verso la porta di uscita, si resta in due, due figure vestite di bianco, due infermieri, stanotte uno dei due sono io.

Faccio un giro nelle stanze dei pazienti, per salutarli, per comunicarli che se dovessero aver bisogno nel corso della notte avranno me come riferimento e per osservare meglio le condizioni e le criticità di qualcuno di essi… una criticità questa notte c’è.

Le ore passano, le nostre ciabatte calpestano rapidamente la corsia ora accompagnate dalle ruote del carrello ora da sole… tra il suono dei campanelli se ne avverte uno differente che è quello del telefono, il medico ci avverte che sta per arrivare un ricovero, alla notizia, eccoci qua io e la mia collega ad organizzare ed imprecare, criticare e preparare poi accade qualcosa.

In una stanza singola c’è un uomo, un uomo la cui malattia purtroppo gradualmente nel tempo lo ha reso estraneo alle persone che lo circondano, alla sua famiglia, moglie e figlie che sono lì, sono state lì dal primo momento giorno e notte poi, nel pomeriggio precedente, le condizioni sono divenute critiche ed allora non potevano non stringersi tutte assieme ora che la vita stava lasciando il corpo.

Mi chiamano, non suonano il campanello non vogliono disturbare, mi chiamano di persona in guardiola, si affaccia una delle figlie, entro il stanza e le guardo prima di arrivare dal paziente, visi gentili che nascondono occhi di lacrime e cuore a pezzi, vogliono sapere se la storia è finita.

Lo guardo ed è finita, le guardo, la moglie mi abbraccia, chiudo gli occhi li riapro, abbraccio lo sguardo di una delle figlie, è uno sguardo grato ma allo stesso tempo pieno di dolore, è uno sguardo che mi morde dentro, vorrei abbracciarla ma cerco di frenare le emozioni, le lascio sole in stanza, hanno bisogno del loro momento.

La relazione, entri in reparto e ti relazioni con tutti quelli che con ruoli diversi rientrano sulla tua stessa orbita, ruoli dietro i quali ci sono persone, perciò, accade che si presentano situazioni che inevitabilmente per motivi che hai dentro ti coinvolgono di più ed ecco un fuori programma, un abbraccio, uno sguardo, una lettera, una stretta di mano, un grazie sussurrato.

Tutto questo ti fa capire perché, come folgorato sulla via di Damasco, hai fatto questa scelta.

Inevitabilmente ci sono momenti di agitazione, insoddisfazione, rabbia anzi forse ci sono proprio perché ci tieni.

Quando scrissi la tesi realizzai un questionario e ad una delle domande aperte un infermiere scrisse “non siamo l’omino che consegna compresse e fa siringhe” penso avesse ragione, abbiamo scelto questa professione per instaurare relazioni affinché l’altro ci affidi la sua salute, la metta nelle nostre mani, come diceva un mio professore all’Università “abbiamo il ruolo della mamma”.

Somministriamo terapia perché il paziente sa che siamo formati per farlo, sa che mettiamo a sua disposizione le nostre conoscenze e competenze, sa che ci stiamo prendendo cura di lui.

Lo stiamo “curando” non solo con i farmaci, la terapia ma anche con le parole, il nostro codice deontologico agli articoli 4 e 17 ci rammenta che il tempo di relazione è tempo di cura, ricordiamolo.

 

Foto di Benni Fish