Infermieri: news e attualità
Dall'ambulatorio al reparto Covid, il cambiamento
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- Scritto da Franco Ognibene
- Categoria: Infermieri: news attualità e il quotidiano delle esperienze
Come si sposta un infermiere dall'ambulatorio al reparto Covid?
Le fasi sono state rapidissime, un giorno la coordinatrice chiede chi si vuole spostare, il giorno dopo un corso e il giorno dopo inizi nel nuovo reparto.
Era il febbraio 2020, la situazione era chiara, il Coronavirus stava dilagando, un giovedì la coordinatrice convoca tutti gli infermieri e ci informa che cercava 4 volontari, ci offrimmo in 6.
Il cambiamento era già arrivato negli ambulatori, il numero di pazienti che si potevano seguire era stato ridotto, entravano solo i pazienti registrati e i parenti strettamente indispensabili. Ma molti che dovevano fare degli esami o visite di follow-up chiamavano e chiedevano di essere spostati.
I pazienti stessi stavano riducendo i contatti allo stretto necessario.
Io sono stato scelto per essere fra quelli trasferiti, anche se non sapevo dove sarei stato trasferito volevo dare il mio contributo.
Informo mia moglie e le figlie, orgogliose del mio impegno.
La situazione pandemica richiedeva più attenzioni verso le possibilità di contagio e già i giornali parlavano di focolai nei reparti che fossero Covid o non Covid.
Questo ha fatto si che per 6 mesi sentii i miei suoceri e mio padre solo al telefono.
Il giorno dopo era stato organizzato un corso sulla vestizione/svestizione per assistere i pazienti Covid, non era ancora finito il corso quando ricevo la telefonata con l'assegnazione del reparto e la data di inizio, il giorno dopo.
Il mio reparto di assegnazione era la medicina d'urgenza, trasformata in reparto Covid che accoglieva i pazienti dal PS, veniva monitorata la gravità e in pochi giorni il paziente era inviato in un reparto o direttamente in terapia intensiva.
L'assistenza con i DPI penso faccia comprendere subito al paziente la gravità della situazione e molti erano comprensivi, era un'assistenza a cui non ero abituato perchè mi limitava molto.
La vista si appannava e se non si appannava poteva esserlo lo schermo facciale.
Avendo due paia di guanti anche solo fare un prelivo diventava più difficoltoso anche davanti ad una vena di grosso calibro.
I movimenti dovevano essere controllati, altrimenti dopo pochi minuti saresti stato sudato spolto.
Quando eri dentro la camera del paziente, ti preparavi tutto, ma mancava sempre qualcosa e un infermiere o un OSS era sempre in corridoio per aiutarti.
La comunicazione con i pazienti era l'aspetto più difficoltoso, è cambiato il tono di voce, non c'era più la mimica del volto e abbiamo imparato a comunicare con gli occhi.
Poi per fortuna sono arrivati i tablet per consentire un contatto più umano fra il paziente e la sua famiglia.
A fine turno la doccia, tutti la facevano, non si voleva correre il rischio di portare il Coronavirus a casa, anche se sapevi che poteva essere chiunque.
Il lavoro è proseguito, senza giorni di ferie, due mesi sono volati e a un certo punto i ricoveri si riducono e una telefonata mi comunica che il giorno dopo riprendo in ambulatorio.
La prima ondata era finita, abbiamo contato oltre 80.000 decessi e molti avranno danni e invalidità permanenti, ma non basta abbiamo potuto conoscere anche la paura più intima dell'uomo, che si manifestava nei social con la negazione o peggio con il voler convincere gli altri.
La prima ondata ha visto uno sforzo incredibile per contenere i danni e speravamo che la natura avesse fatto il suo corso, come una normale epidemia influenzale.
Le notizie dai paesi vicini e dal mondo non erano confortanti, l'epidemia di Coronavirus dilagava, e la seconda ondata arrivò in Italia con l'autunno.
Foto di Helena Jankovičová Kováčová da Pixabay